Si dice che aprile faccia il fiore e maggio gli dia colore. Un proverbio che, per questo periodo più che mai, calza a pennello. Dopo due anni vissuti in bianco e nero, ad aprile abbiamo ripreso contatto con la normalità, quella pre-pandemica. La vita ha letteralmente ripreso colore.
Per strada sono spuntati i festoni e le coccarde: anche le nostre case sono tornate ad indossare gli abiti della festa. Il tutto per riaccogliere il passaggio delle processioni legate ai nostri riti e tradizioni, che tanto ci sono mancati.
Abbiamo vissuto, finalmente di nuovo in presenza, la ritualità legata alla Santa Pasqua, dai sepolcri alla processione dei Misteri. Poi è stata la volta della Madonna dei Miracoli, per i trepuzzini la prima festa patronale dell’anno solare: riviverla è stato come ammirare l’arcobaleno dopo un lungo, estenuante temporale.
Le bande sono tornate in strada. Con loro anche il profumo dei mostaccioli e della copeta, il clima festoso delle bancarelle, l’emozione di partecipare alle nostre tradizioni, sacre e profane insieme. La verità è che insieme a loro, siamo tornati a vivere anche noi.
Aprile ha rappesentato una secchiata di colore lanciata su una tela sbiadita e stanca. Maggio, poi, è il mese delle sfumature. Quello in cui la timidezza del primo entusiasmo, minacciato da un incubo non del tutto alle spalle, cede il passo ufficialmente all’ottimismo. Parole d’ordine: tornare a vivere.
«Nascere non basta – sosteneva Pablo Neruda – È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno». Da dove ripartire dunque? Semplice. Da dove eravamo rimasti.
Neanche il tempo di leccarci le ferite, che è arrivato un conflitto. Sembrava così lontano e invece, ancora una volta, è servita una guerra per farci capire che siamo, indissolubilmente, parte di un tutto. Siamo comunità, sempre e ovunque. Ed è da questo che forse dovremmo ripartire: dal riscoprire noi stessi in relazione agli altri.
«Un uomo può uccidere un fiore, due fiori, tre….ma non può contenere la primavera». Se Gandhi guardasse il mondo di oggi, ripeterebbe a gran voce queste parole, sempre evidentemente attuali. E allora ripartiamo volgendo lo sguardo al passato, agendo nel “qui e ora” e strizzando l’occhio al futuro, che ci apparterrà solo se coltiveremo noi stessi il valore dell’appartenenza.
Per questo, cari concittadini, il numero di maggio lo dedichiamo a voi, a noi, alla rinascita della comunità di Trepuzzi e del mondo intero. Perché riscoprirsi liberi non basta, ritrovarsi non basta, lasciarsi alle spalle un periodo difficile è una gioia, ma non basta.
Non basta se di questa libertà, questo rincontro, questo ritorno alla vita non sappiamo farne tesoro. Insieme. Uniti. Tutti, indistintamente. Perchè se è vero che il destino mescola le carte, come sosteneva il buon Schopenhauer, è anche vero che i giocatori siamo noi. E com’è che si dice in questi casi? Squadra che vince, non si cambia. E fare squadra è la chiave di tutto.
Abbiamo resistito, adesso è tempo di ri-esistere.
ERICA FIORE