IL RACCONTO DI GIOVANNI IMPASTATO

«PEPPINO? UN FRATELLO CORAGGIOSO»

«Peppino era, prima di ogni cosa, un figlio di mafiosi che ha trovato il coraggio di ribellarsi alla mafia, pagando quella lotta al prezzo della vita». Ci tiene a ribadirlo Giovanni Impastato nel raccontare la vita e la storia di suo fratello Peppino, al quale ha scelto di dedicare un libro.

Ha esordito così presentando la sua ultima fatica letteraria davanti ad un pubblico letteralmente catturato dalle sue parole, nell’aula consiliare del Comune di Trepuzzi, che lo ha ospitato. Al suo fianco anche il Procuratore e capo della DDA leccese Cataldo Motta, che alla lotta alla mafia e ai suoi tentacoli sempre più subdoli e insidiosi ha dedicato la sua vita, lasciando il segno.

Il libro si intitola Mio fratello, una vita con Peppino ed è un racconto che si dipana a partire da un comune della città metropolitana di Palermo, Cinisi, e da una famiglia di agricoltori legati alla mafia locale: il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, e suo cognato, Cesare Manzella, ucciso in un attentato, era il capomafia del paese, uno dei boss che per primi individuarono nel traffico di droga il nuovo strumento di accumulazione di denaro e potere.

È in questa famiglia che nasce Peppino, e cinque anni più tardi anche Giovanni. È da qui che si sviluppa la vicenda rivoluzionaria, drammatica, coraggiosa e libera del ragazzo destinato a diventare il più contagioso degli attivisti della lotta antimafia. Una storia che non si interrompe affatto con l’uccisione di Peppino, ma che continua per altri quarant’anni intrecciandosi a quella del nostro Paese e disvelandone spesso complicità e opacità. Quella storia Giovanni l’ha vissuta tutta.

«La mafia è cambiata tantissimo da allora – ha raccontato a Trepuzzi –  oggi si parla di borghesia mafiosa, sempre più dal colletto bianco e infiltrata nelle amministrazioni. Mio fratello all’epoca era impegnato nelle battaglie pacifiste, per la difesa del territorio, nella lotta contro le ingiustizie. Ecco perché – ha voluto sottolineare – quello di Peppino non è solo un messaggio di impegno civile, sociale e di lotta alla mafia, ma un messaggio educativo soprattutto per le giovani generazioni».

Un messaggio che non può e non deve morire insieme a Peppino.

Erica FIORE

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