IL PROGETTO

EDITORALE

RESTANZA, QUI E ALTROVE

Si può restare in tanti modi. Vi sembra forse un caso che si parli sempre e solo di “fuga di cervelli” e mai di “fuga dei cuori”? Pensiamo che la più grande perdita siano le menti che ci abbandonano. Sui cuori che restano, anche a migliaia di chilometri di distanza, ci si sofferma poco. Cadiamo in questo errore più spesso di quanto pensiamo. La “ratio”, quella sì che è affidabile e insostituibile: quando va via, è un lutto. E il cuore? Sul cuore si sorvola. Eppure è il cuore che ci riporta a casa, è l’amore a trovare il coraggio di sfidare le distanze e i confini, sono le scelte di pancia a renderci davvero felici. E spesso in quella pancia custodiamo, gelosamente e all’infinito, un cordone ombelicale invisibile. Lo stesso che saprà sempre riportarci sulla strada di casa. Ecco perché dal professor Vito Teti prendo oggi in prestito una parola che, da sola, riassume tutto questo: “restanza”. E che parola.

«Ricordatevi che il vero viaggio è restare» ha detto un giorno Teti parlando ai suoi studenti universitari, quasi tutti con un piede già fuori da una Calabria troppo stretta. «Non abbiate paura di risultare poco coraggiosi – li ha incitati –  Qui c’è tanto da fare. Restare è un’arte, un’invenzione, un’avventura, un atto di incoscienza e, forse, di prodezza, una fatica». Ed è proprio raccontando quella fatica, nell’intento di sfidare lo spopolamento in atto, che il professore ha contribuito a coniare la parola “restanza”. Né staticità, né immobilismo, né chiusura. La restanza è, al contrario, il viaggio più coraggioso che si possa intraprendere. Il fulcro di questa teoria è un paradosso: la forma più estrema e radicale di sradicamento, la vive chi resta.

E in tutto questo “Di Ritorno” cosa c’entra? “Di Ritorno” è una sfida nella sfida. Si parte dal concetto di restanza, si punta a proporne un’evoluzione.

Un progetto ambizioso direte voi. E di fatto l’obiettivo è quello di dar vita ad un contenitore, in continua evoluzione, di ricordi, idee, progetti e, perché no, anche critiche costruttive, che contribuiscano alla crescita e allo sviluppo di questa comunità. E a chi chiediamo “in prestito” questi spunti di riflessione? A chi a Trepuzzi ci è rimasto. Si badi bene: rimasto anche soltanto con il cuore, dovendo formarsi o lavorare altrove.

Essere comunità vuol dire tante cose. E allora iniziamo a metterle in pratica. “Di Ritorno” è un appello alla partecipazione. Ai nostri lettori, ai quali oggi ci presentiamo ufficialmente, diciamo: «Diteci la vostra, mettete a disposizione il vostro sapere per contribuire al benessere della vostra comunità, quella di Trepuzzi-Casalabate». Come? In vista di ogni prossima edizione del giornale, che avrà cadenza mensile, sarà nostra cura avvisare sul tema prescelto. Lo faremo su ogni canale comunicativo legato al progetto, cosicché ognuno possa scegliere – in base alle proprie competenze e vocazione – il tema sul quale avrebbe piacere ad intervenire. Parleremo di ripopolamento dei borghi, Pnrr, sostenibilità, infrastrutture, beni storici e architettonici, progetti per la nostra marina, sport e tradizioni da reinventare. Per affrontare tutte queste sfide non vogliamo rinunciare a nessuna delle nostre eccellenze, vicine o lontane che siano. Già in questa prima uscita abbiamo deciso di raccontare le storie di alcuni nostri concittadini che, ne siamo certi, non faranno mancare il loro apporto. Sono solo le prime di una lunga serie. E allora buon viaggio a noi. Che abbiamo gli occhi dritti verso il traguardo e un’unica certezza: non dimenticheremo mai la strada di ritorno.

di Erica Fiore

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